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Una porta aperta: entrare per cercare oltre
A Noventa Padovana c’è un laboratorio… Una porta aperta, da cui entrare per cercare oltre. Qui Sergio Rodella, scultore, plasma la materia, estraendo da essa silenziose relazioni, intessute di significati, rivestite di bellezza.
Lo ha intervistato per noi Alberto Lorenzi (papà di Francesco Lorenzi, frontman The Sun).
Sergio, ci racconti un po’: come è approdato alla scultura?
Il mio approdo alla scultura avvenne circa nel 1974-75 quando all’Accademia di Venezia cominciai ad operare con sculture in legno anche se l’attenzione era quasi dominata dall’arte “povera” o “informale” che trascurava lo studio dell’anatomia. Nonostante questo io volevo seguire una mia via autonoma all’Arte, assieme e in parallelo con una ricerca aperta sul significato della vita e delle forme di vita che si rivelano nei corpi. Vi è sempre un “indeterminato” che sta oltre i corpi e che bisogna scovare con un esercizio paziente.
Cosa ispira il suo lavoro?
Quando comparvero i famosi Bronzi di Riace c’era la fila ad ammirare quelle figure, belle dal punto di vista plastico ma senza virtuosismi tecnici, eppure c’era quella bellezza propria del corpo e del modellato. Quindi c’era un grande valore da recuperare, significava che erano in grado di suscitare emozioni e non si trattava di una banale percezione gradevole, non toccavano solo i sensi ma andavano più in profondità. Perché il corpo è un luogo di Relazioni.
Come nasce un’opera?
Un giorno mi si presentò l’occasione di creare una Pietà in misura reale, e ciò cambiò il mio rapporto e l’esperienza con i corpi: c’era da costruire sia il corpo della Madonna sia quello del Cristo con tutta la loro corporeità diretta, quasi un raffronto senza finzioni di scala e pertanto nell’indagine sono andato sempre di più in profondità; il rigore anatomico si impastava con la ricerca del senso avviluppato all’opera che tuttavia, essendo realizzata su commissione, non mi lasciò abbastanza libero di raggiungere quella profondità con la quale avrei amato confrontarmi.
C’è un suo soggetto preferito?
Ho dedicato molta passione e impegno ad una svolta “apocalittica” della mia vita, impegnandomi per quattro anni, dal 1978 al 1982, alla realizzazione di 24 sculture (in legno, rame e resine) che interpretavano l’Apocalisse, esposte successivamente in una speciale mostra a Montagnana. In esse talvolta ho rappresentato dentro un’unica figurazione più eventi diversi. Alcune di queste sono figure ambigue, ma questa ambivalenza mi è sgorgata spontanea in molte altre opere della mia vita dove il Bene e il Male convivono: il Bene per fare evolvere positivamente il Male e il Male per essere vinto dal Bene.
Quand’è che Lei, nella sua vita, ha incontrato Gesù Cristo? In che rapporto è con Lui?
Durante il servizio militare, dopo aver letto il libro che narrava l’esperienza di alcuni studenti di Pittsburg (USA) dalla quale ottennero alcune manifestazioni della “divina presenza” in alcune loro iniziative. Mi riproposi di affidarmi alla Divina Provvidenza durante una visita in una cappellina buia illuminata solo dalla presenza del Santissimo. Fu un’esperienza emotivamente fortissima e, dopo il mio trasferimento a Roma, iniziai ad avere delle manifestazioni sconcertanti della presenza e azione del “divino” sulla mia strada, fino ad un avvenimento che portò me e alcune persone che mi avevano assistito in “pronto soccorso” a frequentare dei gruppi di preghiera.
Tuttavia, una Conversione non si spiega, si vive.
Ero ottavo di dieci figli, sposato già dai tempi dell’Accademia, con la necessità di “uscire di casa” al mio ritorno da militare, senza alcun tipo di reddito ma aiutato da amici che mi permisero di avere una casa dotata di un piccolo laboratorio e la dotazione di una certa quantità di legname che mi permise di iniziare la mia attività di scultore. Ma non avevamo nulla da mangiare. Per cui, un giorno, decisi di fare uno “sciopero artistico”, chiedendo al Padreterno che mi desse un segnale per indicarmi la strada, visto che mi aveva dotato di un dono molto particolare ma che non mi dava da vivere. Nel giro di poche ore giunse a casa mia un acquirente che mi risolse i problemi più immediati ma sufficienti a farmi capire che Dio mi era vicino e mi confortava nelle mie scelte.
Il suo ultimo lavoro, l’Uomo della Sindone, è un’esperienza straordinaria. Lei ha realizzato un’opera che i più potenti computer e i più famosi scienziati non erano riusciti a concretizzare. Come è successo?
Per motivi personali, di meditazione e di riflessione interiore. Per la Pasqua del 2016 mi volevo regalare una copia in grandezza naturale della Sindone ma, dato il prezzo per me esorbitante, dovetti lasciar perdere. Alcuni mesi dopo, per il manifestarsi di alcune “Dio-incidenze” [1], il Prof. Concheri, Ordinario presso la “Scuola di Ingegneria dell’Università di Padova”, mi contattò, dicendosi fortemente motivato ad ottenere una statua come riscontro volumetrico dei dati della Sindone e mi procurò le immagini della Sindone in scale reale, in positivo e negativo, con risoluzioni di stampa differenziate. Dopo un profondo ascolto del mio “sentire”, accettai la sfida! Guardavo, osservavo, scrutavo la Sindone notte e giorno e non sapevo da dove iniziare finché una mattina non ebbi una intuizione e, osservando le labbra e il capo, capii che si trattava di un uomo giovane; così iniziai l’avventurosa analisi di un telo che portava le tracce di un corpo umano con segni evidenti di tortura, alla ricerca di un corpo che non c’è. È noto che in anatomia alcune parti sono un sottomultiplo del corpo, così scelsi di modellare un primo profilo (dopo infinite prove dal telo avevo ricavato le dimensioni della testa, dello sterno e dei piedi) usando del filo di ferro (altro che computer della NASA!) e per due anni (senza aiuti economici) mi dedicai alla ricostruzione di quel corpo che il Telo presentava con evidenti deformazioni dovute all’avvolgimento del corpo per cui, ricavando delle copie su tela sottile dell’immagine originale, via via che procedevo con le ricostruzioni, e qualche momento di smarrimento, potevo verificarne la bontà proprio rivestendo la parte fisica che avevo fino ad allora realizzato. Realizzato il terzo modello, iniziai l’indagine sulle piaghe e sulla flagellazione. Ero in preghiera continua e in rapporto emozionale con Lui, tale che, durante l’indagine, vissi un periodo di grande sofferenza. Nonostante l’approccio iniziale fosse di tipo scientifico, è diventato inquietante constatare come le Scritture, in alcuni particolari, coincidano con la Sindone e non viceversa.
Attualmente che ne è della sua scultura?
Oltre all’originale presente nel mio studio, alcune copie si trovano presso il Museo dei Papi a Roma, il Centro Culturale Maronita Zaarour in Libano, il Santuario di San Matteo a San Marco in Lamis (FG) e in alcuni altri luoghi e Università per studio ed esposizione. Anche qualche importante programma televisivo si è interessato all’analisi della mia opera cercando però di non “scivolare” nelle troppe coincidenze tra la narrazione della Passione evangelica e il Telo!
Nelle 260 pagine del volume “Il Telo e il Corpo” edito nel 2019 sono minuziosamente descritti tutti i passaggi che sono stati necessari per la realizzazione di questa Opera.
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[1] Cfr. Francesco Lorenzi, “La strada del sole”, Rizzoli, 2014
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Autore dell’intervista: Alberto Lorenzi
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