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28 Apr 2020
I detenuti donano parte della propria spesa a chi "sta fuori"
Delle carceri si parla poco, e generalmente male. La Via Cucis presieduta quest’anno dal Papa ha contribuito in qualche modo ad accendere un faro nel mondo delle carceri: le meditazioni scritte dai carcerati ci hanno fatto entrare, di stazione in stazione, in luoghi in cui, a ben vedere, i fili del bene si intrecciano con i fili del male, fino a restituire la fiducia perduta e suscitare la volontà di ricostruire la propria vita.
Sono tante le iniziative che vengono svolte all’interno delle carceri proprio per educare alla vita, ovvero per far sì che i fili del bene siano più numerosi e più resistenti dei fili del male.
Una di queste iniziative è la Colletta Alimentare, tramite la quale i detenuti possono donare una parte della loro spesa settimanale a favore di persone bisognose che si trovano fuori dal carcere. «In carcere esiste una cosa chiamata “sopravvitto” – spiega il presidente di Banco Alimentare Giovanni Bruno – ovvero la possibilità di acquistare generi di conforto “extra” rispetto all’ordinario. Accade così che una persona compri, ad esempio, cinque scatolette di tonno e decida di donarne due al Banco Alimentare. Certo, parliamo di persone che hanno disponibilità limitate, ma in questo piccolo gesto si giocano tutta la loro libertà. E forse per questo ha ancora più valore».
La generosità dei carcerati non è si fermata neppure in questi tempi eccezionali che stiamo vivendo, anzi è addirittura cresciuta di fronte all’emergere di nuovi bisogni e nuove povertà.
Comunione e Liberazione ha raccolto l’esperienza, riportando direttamente le parole del presidente di Banco Alimentare: «Nei giorni scorsi alcuni carcerati di Taranto hanno voluto donare un po’ dei loro acquisti alimentari in favore del Banco, vista l’emergenza Coronavirus. Lo hanno fatto per aiutare chi “sta fuori”, soprattutto le famiglie più bisognose che si sono trovate improvvisamente in difficoltà. È stato un gesto enorme, commovente». Ma la cosa ancora più straordinaria è che l’intero sistema burocratico e amministrativo che ruota intorno al mondo delle carceri si è mosso in tempi rapidissimi per dare la possibilità di diffondere questa raccolta in tutti gli istituti penitenziari italiani. E questo è avvenuto senza che nessuno lo avesse chiesto, senza strategie studiate a tavolino, senza campagne mediatiche: «Grazie all’interessamento della direttrice del carcere di Taranto, Stefania Baldassari, da cui è partito tutto, abbiamo potuto avviare con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziari una collaborazione per attivare la raccolta, per la prima volta, in tutte le carceri italiane – racconta Bruno – In meno di tre giorni dalla Direzione generale è arrivata una circolare che non solo autorizza l’iniziativa, ma che la promuove su tutto il territorio nazionale. «Per noi è un attestato di stima e di fiducia – chiosa il presidente di Banco Alimentare – un riconoscimento del lavoro e del valore sociale, culturale ed educativo di quello che facciamo. Nel giro di pochi giorni, dopo Taranto, anche i detenuti degli istituti di Opera, Bollate, Voghera, Spoleto, per dirne alcuni, si sono messi in moto spontaneamente. Perché il bene chiama il bene».
Un bell’esempio, che ci fa capire come la solidarietà e la generosità fluiscano sempre inarrestabili nella nostra società, anche nei meandri più inaspettati. Come sottolinea Giovanni Bruno: «Si può vivere un gesto di solidarietà in qualunque condizione ci si trovi, non c’è situazione che possa mortificare il desiderio di bene».
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