
Esperienze
23 Nov 2018

Esperienze
23 Nov 2018
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Ritorno a Goma. Parte 5.2
Nella comunità di Ngangi l’incontro con i piccoli orfani e con i ragazzi di strada
Ci congediamo da Sara donandole una valigia piena di indumenti per le giovani madri, non senza esserci accordati per un ultimo saluto prima della nostra partenza, e ci dirigiamo verso la comunità di Ngangi, attraversando tutta Goma, caotica ed assordante, ma al tempo stesso affascinante e coinvolgente, con la sua moltitudine di odori pungenti e con la sua variopinta vita indifferente al trascorrere del tempo, sempre tesa a cogliere l’attimo e l’opportunità, perché, come dice il Poeta, per la maggior parte di loro “del diman non v’è certezza”. Definire “sconnessa” la via che porta alla comunità salesiana di Ngangi è farle un grandissimo complimento! Le buche e le voragini si susseguono senza soluzione di continuità, intervallate da spuntoni e di roccia lavica che fuoriescono pericolosi dalla terra nera. Anche le case e i muretti a secco che sorgono ai suoi lati sono dello stesso bruno materiale. Volti emaciati e tristi, dal sorriso perduto, bimbi con grandi occhi senza gioia, donne piegate che trasportano sacchi contenenti dolore e rassegnazione. Sembra l’anticamera dell’inferno.
Poi, all’improvviso, il mondo si apre. Si vedono campi di calcio invasi da giovani vocianti e dietro questi campi un doppio cancello. Siamo arrivati! Ngangi è una città nella città. Ci sono migliaia di ragazzi che studiano e vivono qui. È un centro salesiano non facile da gestire, che sopravvive soprattutto attraverso donazioni internazionali. Si parte dal neonato abbandonato in fasce, al diciannovenne che si diploma in Falegnameria, Meccanica, Costruzione o Informatica. C’è anche un reparto addetto alla ricerca e al recupero dei ragazzi di strada, che, nelle periferie delle grandi città, stanno crescendo in modo esponenziale.
All’infermeria consegniamo una valigia piena di medicine di vario genere, tutte utilissime in questa parte del mondo. L’infermiere che le raccoglie e le cataloga ha gli occhi lucidi. Io, tra me e me, ringrazio tutte le famiglie che me le hanno procurate e in particolar modo la dottoressa Angela per la grande sensibilità che la contraddistingue.
Abbiamo il tempo di visitare le cucine della comunità, alla vista delle quali gli amici restano veramente impressionati. In uno spazioso locale, due pentoloni alti come silos pieni di riso e di fagioli. Ogni cilindro è alimentato da un enorme fuoco, ravvivato dalle pale colme di carbone che alcuni giovani lanciano tra le fiamme. Due scale, appoggiate a ciascun cilindro, permettono ad altrettanti addetti di rimestare il cibo con lunghe pertiche. Sul fondo del capannone, innumerevoli secchi di plastica sono in attesa di essere riempiti per poi venire distribuiti nei vari refettori della struttura. Una scena incredibile! Il bagliore delle fiamme, lo spalare incessante per ravvivarle, le grida, i corpi lucidi di sudore… irreale, impressionante!
Il nostro pranzo, seppur frugale, è diverso: un po’ di pesce, delle patate lesse, una pentola di lenga-lenga (un tipo di spinaci bolliti) e qualche boccone di carne di capra. La conversazione è brillante poiché tutti i commensali conoscono l’italiano.
Père Antoine è un ometto piccolino e magro, dallo sguardo furbo e dagli occhi vivaci. È un salesiano molto intelligente ed un acuto osservatore. Dopo pranzo ci porta a visitare tutta la struttura, spiegandoci, con dovizia di particolari, ogni angolo e ogni postazione. Particolare emozione hanno suscitato in Ennio e Bernardo, i nostri neofiti, le situazioni incontrare nel reparto “primi anni”. Sono situazioni di solitudine, di tristezza e di non futuro. Certo, ora questi neonati sono accuditi, vestiti, sfamati per quanto possibile, ma poi? Che cosa ne sarà di loro? Qualcuno ha scritto che “venire al mondo è come essere gettati in un libro in cui ci sono già altri personaggi e altre storie; è entrare in contatto con una realtà le cui regole sono parzialmente scritte. La nostra presenza potrebbe cambiare la trama, e forse addirittura, il finale, ma saremo sempre influenzati dalle pagine che precedono la nostra entrata in scena”. Forse è vero per coloro che hanno la fortuna di nascere nel mondo più sviluppato economicamente, dove, effettivamente, ti è data la possibilità di cambiare il finale del libro della tua vita a seconda delle tue capacità. Ma qui, in questi luoghi di povertà e di miseria, di schiavitù e di sottomissione, l’esistenza di questi piccoli orfani, frutto di stupri e di violenze, nel “libro universale” non si noterà neppure, e la loro presenza verrà cancellata rapidamente ed inesorabilmente. Loro non avranno madri amorevoli e padri protettivi. Non hanno una data di nascita e, nella maggior parte dei casi, nemmeno avranno una data di morte. Saranno solo de “nessuno”, odiati, invisi e respinti nell’accoglienza da individui senza umanità che hanno avuto la sfortuna sfacciata di essere nati dalla parte “giusta” del pianeta.
Nel tardo pomeriggio, persistendo l’assenza di Jean Marie, impegnatissimo nel suo istituto, Père Antoine ci riaccompagna con il suo grande fuoristrada alla casa salesiana di Bosconia. Prima di partire raccoglie alcuni ragazzi di 10/12 anni che giocavano nel grande cortili e li carica sul potente mezzo, facendoli sedere sulle panche posteriori in mezzo a noi. Ci spiega che sono ragazzi di strada che i salesiani raccolgono per le vie di Goma con lo scopo di provare a cambiare le loro vite. Mi racconta che, all’inizio, sono violenti e intrattabili. Alcuni scappano di notte per riunirsi alle loro bande. Vivono di espedienti, di piccoli furti e dormono nei cimiteri. I salesiani, senza perdersi d’animo, li vanno a cercare e, ritrovandoli, li riportano nella comunità. Nell’osservare con quanta gioia accettano di salire sul fuoristrada per una gita fuori programma, mi sembra incredibile il racconto del Rettore, eppure questi ragazzini hanno vissuto la maggior parte della loro breve esistenza da “grandi” e dai “grandi” sono stati maltrattati e abbandonati. Ora sono qui, in mezzo a noi, e schiamazzano e sorridono proprio come tutti i loro coetanei per questo inaspettato dono. Appendiamo sempre da Père Antoine che dare a questi ragazzi un’opportunità per riprendere in mano la propria vita è per i salesiani una priorità ed una necessità spirituale. Le manine che salutano ondeggianti stringendo tra le dita dei piccoli “biscuits” che abbiamo donato loro e quegli occhi finalmente sereni saranno per noi un altro episodio difficile da dimenticare.
A fine giornata, con la presenza dell’Ispettore provinciale Père Jean Luc, la cena perde un po’ della sua spontaneità, tuffandosi nella sobrietà e nell’ufficiosità dei comportamenti. Anche la bottiglia di Erba Luisa resta confinata in un angolo buio della dispensa in attesa di serate migliori. Al termine, faccio da spalla a Jean Marie nell’accompagnare a Ngangi il salesiano belga, non senza, al ritorno, dissetarci al Simba Bar con una fresca e meritata birra bioda.
Renato Da Ros
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