Letteratura

17 Ott 2022


"La tua vita e la mia": felicità condivisa

L'esordio letterario di don Alberto Ravagnani, per parlare ai giovani: una storia nella quale loro possono riconoscersi e soprattutto trovare una nuova chiave interpretativa del reale, mentre gli adulti, dal canto loro, possono riflettere su quello che è uno spaccato del mondo giovanile e aprire strade per relazioni significative.
Presbitero della diocesi di Milano dal 2018, don Alberto Ravagnani (Brugherio, 1993) è diventato un sacerdote oggi notissimo nel campo social per la sua presenza in Facebook, YouTube, Instagram, ecc.
Tifoso del Milan e dotato di una naturale capacità empatica, in modo semplice ed efficace, si è distinto, in particolare per una serie di brevi filmati che trattano questioni importanti circa la fede (perché andare a messa? Fede e ragione, spiritualità, chiesa, ecc) e che hanno avuto moltissime visualizzazioni su You Tube. Vissuto nel mondo degli oratori milanesi, ne ha elaborato la pedagogia per offrire ai ragazzi e ai giovani un luogo educativo sano, per il dialogo, il confronto e l’annuncio della fede cristiana.
Più volte invitato a trasmissioni radiofoniche e televisive, don Alberto ha intuito che anche questo poteva essere un mezzo di evangelizzazione, comprensibile ai giovani nel linguaggio e capace di raggiungere molta gente.
 
Eccolo dunque al suo primo romanzo, “La tua vita e la mia” (Rizzoli, Milano 2021, pp. 288), naturalmente ambientato nell’oratorio parrocchiale, avendo ben presenti valori e difficoltà dei giovani dei nostri tempi, tanto da apparire realistico e credibile nella sua narrazione, forse per qualche verso autobiografica.
Protagonista è Federico un ragazzo come tanti di quasi diciassette anni che vive in una bella casa a Busto Arsizio, i suoi genitori sono stimati professionisti, frequenta il Classico e trascorre il tempo libero tra l'oratorio San Filippo, le feste con gli amici e il “cazzeggio” sui social.
L’altro protagonista è del tutto all’opposto. Riccardo i diciotto anni li ha già compiuti, vive in una zona popolare e malfamata di Busto e la scuola l'ha lasciata. Non ha mai conosciuto il padre, la mamma è ricoverata in un centro tumori, ha una sorellina di sette anni, Ester, che adora - ricambiato - e della quale deve prendersi cura. Per aiutare la famiglia con i soldi fa il rider ma, quando capisce che ancora non basta, entra in brutti giri e diventa spacciatore, la droga infatti circola molto in quei luoghi.
L’incontro tra i due è il peggiore possibile e Federico ne esce male, umiliato, rischia anche un pestaggio; ne nasce un odio, anche perché Riccardo è il ragazzo di Elena, la più bella dell’oratorio, inarrivabile per Federico che non ha neppure il coraggio di parlarle.
Ma la vita ci mette lo zampino quando don Andrea invita i suoi ragazzi più sensibili a un volontariato molto esigente presso l’ospedale oncologico della città.
E lì le cose cambiano: casualmente Federico incontra Riccardo, disperato perché ha la mamma ricoverata per una grave forma di leucemia
Tra mille diffidenze reciproche, Federico e Riccardo iniziano a scrutarsi, poi si avvicinano, infine diventano amici inseparabili.
Federico scoprirà a sue spese quanto si possa essere superficiali nei giudizi verso le persone, ma lo scoprirà anche Riccardo quando riuscirà a spogliarsi della propria immagine di duro per rivelare la sua profonda fragilità perché troppo provato dai casi sfortunati della vita.
In questa sorprendente amicizia (tutti sanno che Riccardo spaccia droga) alla fine tutti saranno coinvolti: don Andrea, la famiglia di Federico, i suoi amici dell’oratorio, i compagni di scuola.
Il finale è aperto, al lettore scoprirlo.
 
Il libro è bello e scritto sorprendentemente bene, scivola come l’acqua fresca, si legge in una giornata perché si fa fatica a staccarsi.
Quanto esso sia vero lo sa l’autore, di sicuro è verosimile, e, anche se i toni non sono certo smorzati, esso rappresenta uno spaccato possibile del mondo giovanile, anche se non frequente.
La questione però è un’altra, perché il tema dell’amicizia, dell’amicizia vera, appare evidente e questo è un tema universale. Essa è tale solo laddove viene messa alla prova e Federico è messo alla prova ed è costretto a un cammino di conversione che lo porterà a cambiare molte cose, soprattutto se stesso. Lo aiuterà don Andrea, in modo discreto e profondo, lo aiuterà il suo cuore sensibile, capace di non arretrare quando le cose costano. Lo aiuterà sua fede, confusa e non sempre convinta, tuttavia capace di cogliere il senso di una presenza che sta sullo sfondo di tutto il romanzo.
E proprio l’incontro con il mondo del dolore, quello vero, dei malati di tumore, costringe Federico a non barare sulle questioni profonde della vita e della morte, lui che a diciassette anni soffriva “solo” perché la mamma Flavia lo controlla, la sorella Sonia lo infastidisce, la scuola lo annoia e non ha il coraggio neppure di salutare Elena.
Gregory, il medico oncologo che incontra in ospedale, lo aiuterà con il proprio esempio, lui, per lavoro e umanità sempre a contatto di quel mondo nel quale vive, forte della sua spiritualità francescana, maturata da un incontro vero con il Signore.
Perché questo Federico ha capito: non bastano le tradizioni e le conoscenze; la fede nasce dall’esperienza di un incontro con un Dio che a tutti offre la propria presenza. In quella amicizia inaspettata e perfino casuale, Federico capirà infatti la presenza di Dio, e lo capirà anche Riccardo, sia pure a modo suo. Questa esperienza è possibile per tutti, lo ricorderà don Andrea in una certa omelia alla fine del libro, lo afferma Gregory con la propria vita, lo scoprirà Federico stesso come un tesoro ricevuto grazie all’amicizia con Riccardo. Lo scoprirà anche Riccardo, da sempre lontano dai preti e dalla chiesa che una domenica si era proprio deciso di tornare a messa.
 
Il testo di Ravagnani ricorda in un certo senso quelli di Alessandro D’Avenia, anche lui capace di descrivere il mondo giovanile perché sempre a contatto con i ragazzi nella scuola. L’augurio è che possa avere lo stesso successo!





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